di Paolo Arsena
Cos’hanno in comune città come Atene, Stoccolma, Bucarest, Valencia, Francoforte? Anzitutto che sono almeno cinque volte più piccole di Roma. E poi che hanno realizzato chilometri di metropolitane in quantità ben superiore (in qualche caso anche doppia e tripla) rispetto alla nostra capitale.
Se ci confrontiamo poi con i centri più importanti d’Europa, sotto questo aspetto ne usciamo davvero con le ossa rotte.
Eppure è il trasporto su ferro, quello svincolato dai semafori e dagli ingorghi, a liberare le città dalla morsa del traffico. Ed è proprio a causa del ritardo abissale che Roma sconta su questo terreno, che oggi appare una metropoli sempre più invivibile e congestionata.
Ma Roma è Roma. Ha una storia stratificata nel sottosuolo, un paesaggio monumentale da preservare. È il centro storico più grande del mondo, una miniera di conoscenza per studiosi e ricercatori, ed è per questo una fabbrica di vincoli e di carte bollate, di sovrintendenze e di burocrati. Non si può pensare di traforarla come un groviera senza pagare il pegno di progetti frustrati, di complesse procedure, di tempi biblici e costi esorbitanti.
È da tutte queste premesse che muove i passi il “progetto Metrovia”, un’idea nata e sviluppata dal mio studio di progettazione, che ha l’ambizione di rivoluzionare, senza interventi particolarmente invasivi, la mobilità capitolina.
Se pensare di realizzare sottoterra nuove linee metropolitane diventa un sogno proibitivo, almeno nel medio periodo, le linee occorre immaginarle in superficie.
Roma in questo dispone già di un apparato infrastrutturale di tutto rispetto: lunghi tracciati ferroviari passanti, svariate stazioni e fermate. E questa rete di superficie viaggia in massima parte disgiunta da quella ipogea. Sono due mondi paralleli che non si parlano.
Già l’amministrazione Rutelli negli anni ‘90 si propose di annodare questi due sistemi, con la famosa “cura del ferro” di Walter Tocci. Quel progetto, l’unico che abbia saputo offrire una visione globale e innovativa del trasporto urbano, prevedeva un’integrazione tra ferrovia, metropolitana e mezzi pubblici, e consentì l’implemento di tre tratte ferroviarie regionali ancora oggi utilissime per i pendolari. Ma fu interrotto e non più ripreso dalle successive amministrazioni, e rimase a uno stadio ancora “primitivo” (e soprattutto incompleto) di interazione tra i mezzi di trasporto.
Il “progetto Metrovia” prende le mosse dalla medesima strategia, vuole cioè nascere come sistema integrato fra metropolitana esistente e tratte ferroviarie. Ma lavorando su concetti come “trasformazione”, “riuso”, “riadattamento”. E puntando non più su (pochi) scambi treno-metro, ma su (molti) scambi metro-metro.
L’obiettivo? Dotare Roma di sei nuove linee di metropolitana di superficie, ben collegate alle tre sotterranee già esistenti. Senza differenze tra sopra e sotto: un servizio pressoché identico nella frequenza, nelle caratteristiche dei convogli, nella comunicazione visiva, nel bigliettaggio. Eventualmente (ma non necessariamente) anche nella gestione.
Un vero e proprio sistema integrato, quindi, che lavorando su ciò che c’è, senza interventi invasivi, in tempi ragionevoli e con costi assai vantaggiosi in rapporto ai benefici, sarebbe capace di riallineare Roma agli standard delle grandi capitali europee.
Vediamo come.
Sui binari delle ferrovie che attraversano la città corrono oggi, con tratte in buona parte dedicate, quattro tipi di treni: l’Alta Velocità; i treni nazionali; i treni merci; i treni regionali. Noi intendiamo liberare i binari dal transito regionale per fare posto alle metropolitane di superficie. Linee completamente indipendenti (quindi senza più incroci con il traffico ferroviario merci e a lunga percorrenza) che si snodano sullo stesso sedime, con le caratteristiche precipue della rete metropolitana.
Il nostro studio di massima ci offre una buona soluzione che non pregiudica affatto la circolazione di tutto il restante parco dei treni: riorganizzando il traffico ferroviario con la già
prevista chiusura dell’anello e senza significative modifiche dei restanti tracciati, si può immaginare di fermare i treni regionali alle porte di Roma, nelle stazioni cosiddette “di interscambio”, capolinea cioè delle FL e della Metrovia. Le stazioni di Olgiata, Montebello, Nuovo Salario, Lunghezza e Ciampino diventerebbero dunque dei nuovi hub esterni, dotati di parcheggi adeguati, che i pendolari raggiungerebbero in treno o in macchina, per poi salire immediatamente sulla Metrovia e muoversi dentro Roma, contando su una rete metropolitana più capillare, frequente e ramificata di quella odierna.
Inoltre, nella maggior parte dei casi lo scambio treno-Metrovia, potendosi effettuare tra binari affiancati, potrà garantire tempi di trasbordo assai ottimizzati rispetto a quanto avviene oggi a Termini o nelle altre stazioni.
Ma non è tutto. È essenziale lavorare sulle interconnessioni tra il sopra e il sotto. Moltiplicare cioè i nodi di scambio fra le tre metro esistenti e le nuove linee della Metrovia superficiale.
Oggi gli unici snodi che funzionano davvero sono Valle Aurelia e, sia pure con margini di miglioramento, Flaminio (su cui peraltro è in cantiere la nuova stazione). Gli altri tre sono assai dispersivi (Termini, Tiburtina) o inadeguati (Piramide-Ostiense).
Nel progetto Metrovia, gli snodi tra le linee vengono quasi triplicati. In particolare, oltre a quelli che emergono naturalmente dai crocevia delle linee e a quelli già previsti con l’incedere della metro C, verrebbero realizzati tre collegamenti strategici e di semplice attuazione tra fermate distanti non più di 400 metri, clamorosamente “dimenticati” nella programmazione estemporanea che ha sempre caratterizzato lo sviluppo trasportistico romano: l’ormai famoso Ponte Lungo-Tuscolana, in grado di connettere rapidamente questa stazione con la linea A; il collegamento Libia-Nomentana, tra fermate metro e treno assai vicine ma invisibili ai passaggeri dell’uno e dell’altro mezzo; e infine la creazione di una nuova fermata sulla linea per Ciampino, in grado di allacciarsi alla metro A per favorire il raggiungimento dell’aeroporto.
L’aggiunta di alcune fermate ai percorsi delle sei nuove linee di Metrovia (Portonaccio, Lanciani, Zama, Valle Giulia, Portuense etc.), nonché il miglioramento dell’accessibilità al servizio (per esempio un nuovo accesso da piazza Gondar, baricentrico tra le fermate Libia e Nomentana; oppure un ingresso posteriore alla stazione Trastevere, da piazzale della Radio) concorrerebbero a rendere ancora più efficace la copertura del servizio sul tessuto urbano.
Non stiamo scrivendo un libro dei sogni. Ma una proposta concreta, compatibile con tutti i progetti in programma per il prossimo futuro, capace di efficientare enormemente i collegamenti sia per i cittadini romani che per i pendolari. Due delle sei nuove linee (la Roma-Ostia e la Roma-Montebello) possono essere realizzate in modo autonomo, con tempistiche separate. Si tratta peraltro di progetti già previsti o in discussione. Le altre quattro avranno bisogno di un piano di conversione di medio periodo.
Ma occorre tenere ben presente che gli scavi sono limitati soltanto a qualche sottopasso di collegamento pedonale, mentre l’adeguamento delle linee avviene interamente a cielo aperto, sul tracciato di quelle ferroviarie attuali, sfruttando stazioni e fermate esistenti, con disagi minimi se non quasi assenti per la circolazione urbana.
Roma ha urgente bisogno di uno scatto in avanti, per uscire dal torpore e dall’avvitamento sui suoi problemi cronici, ed interrompere così il ciclo depressivo di questa lenta decadenza.
Occorre prendere coscienza che un Paese che vuole restare grande non può prescindere dalla propria Capitale. Ed è bene che Roma capisca davvero che dare una svolta positiva alle proprie disfunzioni, a cominciare da un riordino su base strategica del sistema trasporti che ottimizzi il rapporto costi-benefici, significa onorare finalmente il suo ruolo apicale. Un ruolo che le spetta, ma che non può continuare ad essere svilito ad oltranza.
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