Ancora lettere d'amore per Roma. Svegliarsi dal torpore!

domenica 2 luglio 2017
Riceviamo e pubblichiamo! Lettera di Luca.

"Io non ce l'ho con la Raggi. È solo che ho raggiunto il mio limite e amo Roma. Normalmente, non ce l'ho con nessuno. Cerco di trovare il bello in ognuno di noi, perdono pur non essendo un buon cristiano, penso sempre che dietro ogni azione c'è un vissuto che l'ha determinata e al quale non ci si può sottrarre. Giustifico, ogni volta che posso, amo tutte le volte che mi è concesso farlo, sono un sognatore, un romantico, un illuso, direbbero in molti. Non sono un debole, detesto l'incoerenza e la malafede, sono un paladino dei più sfortunati senza essere San Francesco, l'aggettivo "impossibile" non mi scalfisce. Non sono un santo, non mi sento certo tale, ho i miei lati oscuri e ci convivo senza disperarmi. Sono biologo e scrivo libri. Sono un contrasto vivente e questo è indubbiamente un difetto, ma anche una ricchezza. Lavorando nel Policlinico Umberto I ho imparato che nessuno ti regala nulla, che i problemi te li devi risolvere tu, che l'unica cosa che conta è il paziente e che per quanto tu possa chiedere, non ti sarà dato nulla. Sei solo e i tuoi problemi non contano. L'importante è la risoluzione di quelli del paziente. Non importa come, quando e perché. Ti si chiede un goal. Il paziente è il tuo goal. Trova tu la soluzione. Ecco, a volte penso a Roma come a un paziente. Grave, gravissimo. E poi penso a chi la governa e l'ha governata in passato. Non è stata trattata come un paziente. Ma Roma lo è. È stata solo calpestata, neanche la decenza di un'eutanasia. È stata sfregiata, le è stato dato un calcio nella schiena mentre era moribonda e chiedeva aiuto. Non è ancora morta. Incredibile. Ogni suo centimetro quadrato grida un dolore che non si può non sentire. E allora mi verrebbe da mettere in moto quei meccanismi che applico ai pazienti che aspettano un trapianto e portarla verso il mio nuovo goal. La rinascita, la guarigione. Non è impossibile. È solo difficile, ma possibile. Basta volerlo. Roma non merita questo. Non merita chi dice "non ne sapevo nulla", chi non sa ascoltare. Curare è prendersi cura, dice il grande Prof. Mandelli. Dunque, se vogliamo curare questo paziente così speciale, così unico, dobbiamo prendercene cura. Un compito che deve essere un onore, non un patetico slogan. Un compito che non ammette i vari "non lo sapevo", "è tutta colpa di chi c'era prima", ecc. Perché se io dicessi così, nel mio ambito lavorativo, sarei stato già mandato a pulire le latrine. E ne avrei da dire e lamentarmi....Le cose, secondo me, stanno così: continuare a postare immagini e commenti del disastro-Roma è utile, ma fino a un certo punto. È sotto gli occhi di tutti, tutti ci conviviamo e tutti siamo indignati. Ma questo non cambierà il futuro e, sostanzialmente, chi dovrebbe dirigere la baracca se ne frega. Il problema é: come passare alla fase 2? Ovvero, come passare dal dire al fare? E qui si apre un mondo. Tutto sta ad azzeccare le mosse. Il problema, come sempre, in tutti i campi, è la gente. Scuoterla dal passivismo è un compito arduo. Gli italiani sono un popolo che urla ma che al di là di una colorata veemenza verbale non riescono ad andare. Sono pigri e hanno paura di modificare il proprio status quo. Sto bene, vivo una vita decente, mi tolgo qualche soddisfazione, dunque chi me lo fa fare....Non lo dico io, lo dice la storia, il nostro passato. Il vecchio "armiamoci e partite" è sempre dietro l'angolo, pronto a essere riesumato al minimo sentore di pericolo. Ma quale pericolo? Il pericolo, unico, che io vedo è quello di andare a picco con la nave e la cosa non mi garba affatto. Ma a pensarla così è lo scrivente e altri quattro gatti. La massa (attenzione, non è spregiativo) è un corpo che difficilmente si smembra. Ha una forza di coesione tra le singole parti formidabile. E la massa, nel nostro caso, è fatta da tutti coloro che oggi gridano e domani spariranno. Dunque, come fare? Continuare a urlare sperando che  
qualcosa  accada? Non la vedo bene. Le cose accadono perché qualcuno le fa accadere. Aspettare non apre orizzonti, li lascia così, lontani, irraggiungibili, un miraggio da sognare. E non è poi tanto male. Perché sognare è bello e soprattutto poco pericoloso. Sostanzialmente non altera alcun equilibrio e, per questo, è un buon compromesso. Una cosa del tipo "presa della bastiglia"? Mah....personalmente odio qualsiasi forma di violenza e questa non mi pare una  grande alzata d'ingegno. E allora? Esiste una soluzione? C'è la possibilità che Roma diventi un giorno una città degna di questo nome e i suoi abitanti cittadini non dico modello di virtù, ma almeno normali? Per come siamo messi oggi, dovrei dire di no. Il baratro nel quale siamo sembra essere senza fine. Ma questa risposta non mi piace, anche se avrebbe alcuni pregi indubbi: è semplice e non costa alcuna fatica. Basta continuare a fare ciò che facciamo, a dire ciò che diciamo a essere come siamo. Costo: zero. Arrendersi è lecito, quello che non è lecito è perdere la dignità. E noi la stiamo perdendo. Anche agli occhi del mondo che ci guarda e ci reputa buffoni. Buffoni perché abbiamo governanti che sono i primi a non rispettare le regole, i primi a essere un cattivo esempio da imitare, buffoni perché in fondo in fondo li seguiamo sapendo di sbagliare e, così facendo, non siamo tanto meglio di loro. Ma di questo si è ampiamente parlato. Ora è solo noia, ripetitività, ragionamenti che non portano a nulla. Ritorniamo, allora alla domanda precedente. Che fare? Escludiamo soluzioni negative e troviamone una positiva. Servono poche parole e molti fatti. Eliminiamo allora le parole e concentriamoci sui fatti. Cioè sul fatto. Perché alla fine l'unica cosa da fare è cercarci, conoscerci, unirci, formulare una diagnosi (già fatto), proporre la cura.  Dunque non è una, ma sono cinque cose.  Grande scoperta, molti direbbero con ironia. È quello che fanno tutti, vedi  il M5S. Dov'è la novità? Non c'è alcuna novità, infatti. La vita è fatta di tentativi, non di miracoli. Bisogna provare, con consapevolezza ed equilibrio, andare in una direzione con un unico obiettivo, pronti a trovare soluzioni diverse se necessarie. L'importante, ecco la novità, è essere sul campo, vivere la realtà, essere sempre parte di questa nostra città. Se ci pensate un attimo, i nostri governanti, una volta al potere, sembrano perdere il contatto con la realtà. Anzi, non è che sembrano, lo perdono davvero. D'un tratto è come se non abbiano mai vissuto qui, i problemi vengono distorti, le soluzioni proposte totalmente inadeguate, ridicole per lo più. Eppure sono, nella maggior parte dei casi, nati o almeno cresciuti qui. Salgono al Campidoglio ed è come se si imbarcassero su un'astronave dalla quale osservare la terra con un distacco che diventa naturale, per loro,  ma deleterio, per noi che rimaniamo quaggiù. Se devo veramente rimproverare una cosa a costoro che assurgono alle alte cariche è proprio la perdita del contatto con la realtà. Non so perché accada questo, sempre, ma so che accade e mi chiedo come sia possibile. A una domanda del genere non ho ancora trovato risposta e forse non la troverò mai. Pazienza​.  Comunque, senza proporre improbabili miracoli in altrettanto improbabili tempi, restando con i piedi per terra e avendo in mente il bene della nostra città, consapevoli che si tratta di un cammino faticoso, duro, ma anche una sfida esaltante, dobbiamo svegliarci, fermare la caduta. Lo dobbiamo a noi stessi, ai nostri figli, ma soprattutto a questo dono che si chiama Roma".


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