In questo nuovo appuntamento della rubrica "Roma insolita" andiamo ad affrontare un argomento che oggi è di estrema attualità.
Roma è sommersa dai rifiuti, lo vediamo tutti i giorni, è una discarica a cielo aperto, frutto del triste connubio cittadini-maleducati e istituzioni-latitanti.
Molto spesso luoghi di immenso valore artistico-architettonico sono abbandonati all'incuria e alla sporcizia e questo influisce in maniera estremamente negativa sull'immagine che la città eterna dà di sé nel mondo.
Abbiamo un patrimonio unico che dovremmo proteggere e offrire al pubblico nel suo splendore e in tutto il suo valore, eppure sembra che i romani e gli stessi governanti siano lontani anni luce dal comprendere ciò.
Ma questo problema che sembra non avere soluzione, era così pressante anche nell'antichità? Al tempo degli antichi romani, cosa si faceva per il decoro e la pulizia della città?
Siamo andati in giro ed abbiamo scoperto cose davvero interessanti...ma a farla da padrone sono sempre, purtroppo, il degrado e l'abbandono.
Per capire come gli antichi romani avessero affrontato l’annosa questione che oggi più che mai sembra essere un problema insormontabile per la nostra città, dobbiamo fare una premessa: i rifiuti moderni sono ben diversi da quelli antichi.
Al tempo di Roma antica non esisteva la plastica e i prodotti derivati dalla chimica ed altri scarti dell’industria moderna.
Quello che gli antichi gettavano via era costituito essenzialmente da scarti alimentari di tutti generi, indumenti laceri, ceramiche rotte, oggetti vari di uso domestico e comune ed …....escrementi della notte.
Lo smaltimento dei rifiuti nell'antica Roma durante l’ epoca repubblicana non offre spunto a particolari riflessioni e le notizie a riguardo sono quasi nulle.
Esistevano già le cloache ma il loro scopo principale era fognario e di prosciugamento dei molti acquitrini che esistevano nella Roma arcaica.
Naturalmente i problemi relativi ai rifiuti crescevano di pari passo con l’accrescimento edilizio ed abitativo di Roma che in epoca imperiale ha contato più di un milione di abitanti; la necessità della raccolta dei rifiuti divenne di conseguenza sempre più urgente ed importante .
Ad esempio, un aspetto del problema, relativo però ad un solo tipo di “rifiuto”, era il Mons Testaceus , cioè a quella collina situata nella zona portuale dell’antica Roma e in prossimità dei magazzini (horrea) che oggi si erge nel quartiere romano di Testaccio e che si può paragonare ad una moderna discarica dell’antichità, seppur costituita solo da frammenti di argilla.
Il luogo, come probabilmente tutti sanno, esiste, ma, ovviamente, visitarlo non è facile e anche trovarlo non è cosa estremamente agevole, considerato che non è segnalato in alcun modo.
Per questo, lo abbiamo inserito nella "Roma insolita" e, forse, dovremmo anche aggiungere "abbandonata".
Le anfore, scaricate e
svuotate del contenuto o rottesi accidentalmente, venivano poi quasi totalmente
eliminate ed accumulate nei vicini prati al confine della città, fino a formare
nel tempo un monte; questo monte esiste, come detto sopra, tutt'ora, è recintato per evitare
scavi abusivi ed è ricoperto da una boscaglia sotto la quale giacciono ancora
infiniti frammenti di anfore.
Il monte Testaccio o Monte dei Cocci visto dall'alto |
Sulle modalità degli
accumuli e la cronologia, tradizionalmente
compresa in un arco di 270 anni (da Augusto a Gallieno), preziose
notizie sono fornite dalle iscrizioni presenti sulle anfore frammentarie, molte
delle quali conservano il marchio di fabbrica , impresso su una delle
anse, mentre altre presentano i tituli picti, note scritte a pennello o
a penna in nero o minio (rosso). Tracciate
in parti differenti dell’anfora, le scritte offrono diverse
informazioni come il peso dell’anfora
vuota e del contenuto, i nomi dei mercatores,
il luogo di spedizione, il nome dell’olio e del produttore. Questi ed altri dati giustificano per il monte la definizione di archivio a
cielo aperto di straordinario valore
sull’entità del commercio di Roma.
Cessata la funzione di
discarica, il Monte Testaccio dal periodo medievale inizia ad assumere un ruolo
diverso nella storia di Roma come sede di manifestazioni popolari, dai più
antichi giochi pubblici alle note "ottobrate romane" dell'Ottocento. Oggi
il monte Testaccio è circondato alla sua base da locali e ristoranti alla moda.
La visita di questo luogo è consentita solo su prenotazione. L’ingresso è in
via Zabaglia 24, ma è chiuso da una cancellata anonima al di là della quale una
scalinata porta in cima al monte. Ancora
una volta, vestigia così importanti dell’antica Roma, invece di essere
valorizzate e fruibili, sono praticamente dimenticate e nascoste al grande
pubblico.
L'ingresso protetto da un vecchio cancello; sui gradini foglie secche mai spazzate |
Per quanto riguarda invece lo smaltimento
di particolari rifiuti organici, i Romani fin dal VI secolo a.C. inventarono le
cloache e le latrine pubbliche e private che permettevano di pulire velocemente
le strade della città con getti d’acqua e di smaltire il tutto nel Tevere
tramite un ingegnoso sistema di fognature sotterranee .
Questo sistema di pulizie e fognature
favoriva però solo i ricchi proprietari delle Domus e degli abitanti delle
Insulae dei pianterreni (che all'epoca erano più ricercati e costosi dei piani
alti in quanto usufruivano dell'acqua corrente in casa), mentre gli abitanti dei piani alti non l’
avevano ed erano usi gettare dalle finestre gli escrementi personali che
venivano poi eliminati dagli addetti alla pulizia delle strade .
A Roma quindi mancava
una organizzazione statale per la raccolta pubblica dei rifiuti la cui pulizia
era affidata ai privati che, per non essere multati dagli Edili, dovevano provvedere affinché le case popolari, quelle ad
Insulae a più piani, fossero servite dagli Aquarii,
cioè dai portatori d' acqua,
seguiti dagli Zetarii, cioè gli
spazzini, schiavi che costituivano una proprietà dello stesso edificio.
Al tempo di Augusto fu
stabilito per legge che i bottegai e i proprietari di case dovessero pulire la
strada e i muri davanti alle porte dei loro locali e agli Edili, ai quali era
affidata la cura della città, vennero affiancati quattro magistrati, i Curatores
Viarum, due per il centro città e due per le periferie, che dovevano
occuparsi della manutenzione e della pulizia delle strade .
Tra gli schiavi furono
poi creati dall' amministrazione pubblica degli “addetti al letame”, gli
Stercorarii, incaricati di raccogliere gli escrementi su grossi carri
per essere poi scaricati in aperta campagna come concime, i quali avevano il
permesso di transitare anche durante le prime dieci ore del giorno per portare
i rifiuti organici in campagna dove sarebbero stati utilizzati appunto come
concime.
Al tempo di Vespasiano vi fu una massiccia igienizzazione di Roma; egli infatti
fece installare numerose latrine pubbliche, dietro il pagamento di una tassa.Inoltre, per favorire l' incremento delle entrate, Vespasiano ordinò che
gli orinatoi venissero disposti ovunque, soprattutto davanti ai Templi, a
luoghi di ristoro, ai ritrovi alla moda e ai luoghi “romantici”.Con un Vespasiano così
“igienico” non solo ne usufruì in salute e decoro la città, ma di concerto
anche le casse dello Stato.Le strade di Roma
continuarono tuttavia, nonostante editti, tasse, multe e quant'altro, nel
corso dell’ Impero ad essere ingombre di rifiuti di tutti i generi.Insomma per concludere
il problema dei rifiuti nel mondo antico e nell'antica Roma, pur nella
differenza dei mezzi materiali moderni attuali, non era poi tanto dissimile
dai problemi che purtroppo viviamo quotidianamente.
LE CLOACHE
La costruzione delle cloache fu il primo
problema che gli antichi romani dovettero risolvere per eliminare profondi ed
insalubri acquitrini che circondavano Roma, facendoli defluire verso il Tevere.
Le prime cloache, secondo la narrazione leggendaria, apparterrebbero a quell'insieme di opere, che oggi diremmo infrastrutturali, che vennero intraprese dal re etrusco Tarquinio Prisco. In questo ambito, la cloaca Maxima daterebbe quindi dall'inizio del VI secolo a.C. e forse inizialmente si trattava di una canalizzazione almeno in parte ad alveo scoperto, creata per risanare le
aree del Foro Romano della Suburra e del Circo Massimo, alla quale si
collegarono poi i collettori provenienti dal Velabro. Essa divenne così il più grande collettore
di acque bianche e nere della città, ancora oggi mirabilmente funzionante e
percorribile, nonostante modifiche e ristrutturazioni in ogni epoca.
Presso il ponte Palatino si può notare,
sulla sponda sinistra del Tevere, lo sbocco della Cloaca realizzato tra il 120 e l'80 a.C. (anche se la prima realizzazione è più
antica), formato da un arco a tre ghiere in conci radiali di pietra entro un muro di blocchi di tufo. Il canale, coperto
a volta, è posto fino a 10 metri di profondità, è largo più di 3 metri ed alto circa 4.
Il percorso è evidenziato nella foto seguente: partendo dal sottosuolo della Chiesa dei SS. Quirico e Giulietta, dietro al Foro di Augusto, attraversa il Foro romano, che essa stessa valse a prosciugare nell'antichità, e, passando sotto l'arco di Giano, volge verso il fiume.
Il percorso della Cloaca Maxima |
Oggi, lo sbocco della Cloaca Maxima è visibile, in parte, dal ponte Palatino che, con i suoi 154 metri, è il ponte più lungo di Roma.
Purtroppo, ancora una volta, dobbiamo registrare lo stato di abbandono e degrado in cui quest'immensa opera di ingegneria è lasciato: vegetazione incolta, rifiuti di ogni genere, resti di bivacchi, circondano la zona, tanto che risulta veramente difficile, ormai, scorgerne anche solo il profilo.
E' un'altro, ennesimo esempio, di come trattiamo il nostro patrimonio.
Lo sbocco della Cloaca Maxima visto dal ponte Palatino |
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