lunedì 14 agosto 2017

 LA PIU' ANTICA CASERMA DEI VIGILI DEL FUOCO

Secondo appuntamento con un piccolo ciclo in cui trattiamo temi attuali riportati nell'antichità.
Dopo aver parlato della raccolta differenziata presso gli antichi romani, oggi dedichiamo un approfondimento al tema degli incendi e al modo di prevenirli e affrontarli da parte dei nostri avi.

E lo facciamo dopo aver "scoperto" un luogo unico, una caserma dei vigili del fuoco del II secolo d.C. i cui resti (ahimé non visitabili) si trovano in via della VII Coorte, a pochi metri da viale Trastevere.




Roma alla fine del I secolo a.C. era già una città molto bella, ricca di monumenti importanti e con una alta densità abitativa; la maggior parte degli abitanti viveva nelle insulae, edifici di abitazioni a più piani che avevano scale, ballatoi e portici in legno dove si accendevano fuochi per cucinare e dove la luce era quella delle lucerne ad olio; in queste condizioni ambientali era molto facile che scoppiassero incendi e infatti a Roma non c'era giorno che passasse senza incendi tanto che Giovenale scrisse “… quand'è che potrò vivere dove non ci siano sempre incendi e dove le notti trascorrano senza allarmi....”.

Ai tempi della Repubblica vennero designati i “triumviri nocturni” con il compito di assicurare la guardia notturna per dare l'allarme e venivano tenuti gruppi di schiavi appena fuori le mura pronti a intervenire per spegnere gli incendi. L'efficienza di questo tipo di organizzazione era molto limitata ed allora Augusto nel 22 a.C. decise di istituire a Roma un vero e proprio corpo di vigili del fuoco ma anche di vigilare sui comportamenti negligenti o peggio dolosi. 
Inizialmente il corpo era formato da cinquecento schiavi, posti agli ordini di un magistrato edile, ma con la crescita della città l’organizzazione dei "vigiles" ben presto crebbe a sette mila uomini. 

I Vigiles (circa 7000 uomini) erano corpi militari urbani, divisi in 7 cohortes (a loro volta divise in sette centurie, ognuna comprendente un centinaio di uomini a capo dei quali era il centurione), così che ognuna assicurava la vigilanza in 2 delle 14 regioni augustee in cui era suddivisa Roma. . Avevano le loro caserme (statio) ed il corpo di guardia (excubitorium) all'interno del Pomerio (lo spazio di terreno consacrato e libero da costruzioni che correva lungo le mura di Roma e delle colonie romane) perché la prontezza di intervento era indispensabile per la validità del servizio cardine del corpo, vale a dire la lotta al fuoco.


La loro attrezzatura si componeva di strumenti semplici come lampade, per i servizi di ronda notturna, secchi, scope, siphones (una sorta di idranti con le tubature in cuoio, per la lotta contro il fuoco), asce, ramponi, zappe, seghe, pertiche, scale e corde, oltre ad alcune centones (coperte bagnate utilizzate per soffocare le fiamme).
Il loro motto era Ubi dolor ibi vigiles (dove c'è il dolore, lì ci sono i vigili).

A Roma sono state identificate con certezza due statio, quella della Cohors V sul Celio (che presiedeva le Regio I e Regio II, quindi da Porta Capena alle mura Serviane fino al fiume Almone e tutto il Celio) e quella della Cohors VII in Trastevere di cui restano rilevanti ed interessanti resti a ben 8 mt. sotto l'attuale livello stradale, anche se gli archeologi sono propensi che il sito di Trastevere sia l'excubitorium, ovvero il posto di guardia, piuttosto che la statio; si tratta comunque della più antica caserma dei vigili del fuoco del mondo.


Il monumento si trova nella piccola Via della VII Coorte, a pochi metri da Viale Trastevere ed è segnalato da un'iscrizione murata alla sinistra del portale d'ingresso, sormontato da un fregio raffigurante gli utensili dei "vigiles" e dallo stemma del papa regnante al momento della scoperta, ovvero Pio IX.


Lo stemma dei vigili e quello papale più in alto



L'edificio, il cui pavimento si trova, come detto,  a otto metri di profondità rispetto al livello stradale attuale, si compone di una grande aula che in origine era pavimentata con un grande mosaico in bianco e nero riproducente mostri marini e due tritoni, uno che teneva nella mano destra un tridente e nella sinistra una face spenta, simbolo del fuoco domato, l'altro una face accesa ed indicava il mare, ovvero l'acqua necessaria per spegnere il fuoco: il mosaico, proprio a causa dello stato di abbandono di cui parlavamo prima, è scomparso nel corso della Seconda Guerra Mondiale. Al centro dell'aula si trova un bacino di fontana esagonale a lati concavi, in asse col quale (verso sud) si apre un'esedra rettangolare, con ingresso ad arco inquadrato da due paraste corinzie (pilastri inglobati in una parete) sormontate da un timpano, costruiti interamente in mattoni: l'interno conserva ancora parte degli affreschi originari. Un graffito ci aiuta anche a comprenderne la funzione: si tratta del "larario", una sorta di cappella del Genio tutelare dei vigili, il "Genio excubitorii" ricordato dai graffiti ormai scomparsi. Tutto intorno si aprivano altri ambienti, alcuni di incerta destinazione, forse soltanto le stanze dei vigili, mentre altri sono stati ben catalogati: ad esempio, quello posto a nord doveva essere un magazzino, per la presenza di un "dolio" interrato, ossia di un recipiente che veniva utilizzato per conservare grano, legumi, olio ed altri alimenti. Numerosi graffiti furono scoperti sulle pareti del grande atrio, nessuno pervenuto fino a noi se non nelle trascrizioni grazie alle quali si è fatta luce sull'organizzazione dei vigili e sulla loro vita in caserma. In essi ricorrono spesso non soltanto saluti agli imperatori e ringraziamenti agli dei, ma vengono indicati anche il nome ed il numero della coorte, i nomi ed i gradi dei vigili: in particolare torna spesso l'indicazione di "sebaciaria" e di "milites sebaciarii", in connessione con la parola "sebum", cioè sego (grasso solido di bue o di montone) che i vigili utilizzavano per alimentare le loro torce durante le ronde notturne. I graffiti, spesso datati, appartengono agli anni tra il 215 ed il 245 d.C.: in uno di essi si legge addirittura la frase "lassum sum successorem date", cioè "sono stanco, datemi il cambio".


L'ingresso della caserma


Lo stato di abbandono della struttura: notare le due bottiglie di birra sullo scalino e le scritte sul portone d'ingresso

La vasca esagonale e gli ambienti circostanti
Il luogo è chiuso al pubblico e visitabile solo con visite guidate di associazioni specializzate. 
Lo stato di abbandono è visibile già dall'ingresso dove rifiuti di vario genere sono sparsi tutto intorno e fanno da orrenda cornice ad un monumento tanto particolare e importante.
Ancora una volta constatiamo la noncuranza con cui viene trattato il nostro patrimonio archeologico: un primato che appartiene solo Il a Roma....






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